QUI COMANDO IO! – Il Disturbo Oppositivo-Provocatorio spiegato attraverso il caso clinico di Paolo (nome di fantasia)
I genitori di Paolo arrivano al centro stanchi ed affaticati dalla gestione del loro figlio.
Lo descrivono fin da subito come un tipo “tosto, fin dalla scuola materna si faceva valere”. Così iniziano a raccontarmi la storia di Paolo che sembra essere contraddistinta da alcune definizioni che si ripetono: “ingestibile”, “sfida”, “porta al limite”, “dice parolacce”, “si arrabbia facilmente e sbotta”, “è sempre polemico”, “ha sempre da ridire”, “vuole aver ragione lui”.
Lo paragonano ad un “piccolo tiranno” che seduto sul trono detta legge ed è pronto a ribattere se contraddetto.
Paolo è testardo, tende a boicottare le attività che gli vengono proposte ed ha improvvisi scatti d’ira che lo rendono aggressivo. Non sopporta le prescrizioni e, quando si trova di fronte a proposte o regole che non riesce a rispettare, va in collera, litiga, sfida, accusa per difendersi e può arrivare ad essere vendicativo.
Paolo ha i sintomi tipici del disturbo oppositivo-provocatorio. Tale disturbo è caratterizzato, appunto, da comportamento ostile, tendenza alla sfida, difficoltà ad aderire a regole e richieste, presenza di aggressività che può essere rivolta verso i pari, gli adulti, animali e/o proprietà.
Tipicamente si trovano in questi quadri problemi che Lambruschi e Muratori (2013) inquadrano in una prospettiva multifattoriale: dipendono da un intreccio di caratteristiche neurobiologiche, modalità educative, condizioni ambientali e qualità dei legami d’attaccamento. Per questo motivo anche il trattamento è necessario sia multimodale: oltre alla presa in carico del bambino per lavorare sulla sua regolazione emotiva (soprattutto sul versante della rabbia e frustrazione), l’accettazione di regole e divieti, le abilità empatiche e relazionali; è indispensabile anche avviare un percorso di parent training e colloqui con le insegnanti.
Quando io conosco Paolo, mi stupisce subito l’ostentata sicurezza che dimostra: è al suo primo incontro in un posto che non conosce, con una persona che non ha mai visto e con cui, probabilmente, non ha ben chiaro cosa si farà eppure si dimostra sicuro di sé, spavaldo, “tosto” come, appunto, hanno più volte detto i genitori. Giochiamo assieme e fin da subito emerge il suo bisogno di vincere e dimostrarsi forte: s’innervosisce se sono in testa io, inizia a dire “non vale, stai barando” ed esclama più volte “se perdo facciamo che è una prova”. Questa è l’essenza del lavoro che spesso mi sono trovata a fare con lui: insegnargli a contrattare, a riprovarci, ad accettare che non sempre si può vincere, ma questo non toglie “forza” o “valore” al nostro operato.
Nei nostri incontri assieme iniziamo a parlare della rabbia che Paolo paragona ad un vulcano: “io sento qualcosa che all’improvviso e velocemente mi sale ed esplodo e DEVO spaccare qualcosa, se no non mi calmo”. Nel lavoro con lui cerchiamo di riconoscere i segnali fisiologici della rabbia e ci alleniamo a distinguere livelli diversi di attivazione. Paolo mi racconta le situazioni che lo fanno arrabbiare, spesso le disegna o le riproduciamo dal vivo con dei role-play e pensiamo assieme a soluzioni alternative. Dopo alcuni mesi arriva sorridente e mi dice “oggi mi hanno fatto arrabbiare, ma col cavolo che ho reagito… mi sono sentito più forte lasciandoli perdere!”. L’essenza del lavoro con Paolo è proprio questa: renderlo più consapevole del mondo interiore che si agita dentro di lui, trovare modalità espressive funzionali con cui comunicare i suoi vissuti, insegnarli nuove modalità per stare in relazione con l’altro passando da un piano agonistico-competitivo (e dunque di sfida), ad un piano più cooperativo e collaborativo in cui si può dialogare e contrattare. Gli stessi obiettivi vanno perseguiti anche con i suoi genitori. In un percorso di parent training è necessario innanzitutto condividere una visione del bambino che includa la comprensione dell’inquadramento diagnostico, l’accettazione e l’andare oltre la diagnosi, tendendo sempre ben in mente chi è Paolo a tutto tondo. Il resto del percorso è un cammino, è cercare di condividere un metodo per gestire il bambino ed arrivare a farlo fiorire. Semplice a dirsi, difficile a farsi! Significa saper cogliere le potenzialità ed i piccoli (talvolta piccolissimi) progressi del proprio figlio ed alimentarli a dismisura; accorgersi dei segnali che il bambino lancia e sapersi sintonizzare su questi con occhi attenti e cuore aperto; porre attenzione a sé, al proprio ruolo genitoriale, alla propria storia di vita e di coppia per essere consapevoli dei pensieri ed emozioni che “smuove” in noi avere un figlio con il temperamento e comportamento di Paolo. In questo viaggio spesso ci sono intoppi, battute d’arresto, grandi balzi in avanti e piccole ricadute, talvolta sembra un tragitto faticosissimo, altre volte sembra incastrarsi tutto magicamente… ogni bambino, ogni famiglia, ogni storia è a sé ed è proprio questa particolarità che rende così emozionante ogni percorso e così significativo questo lavoro!
Tornando a Paolo in questo viaggio abbiamo sperimentato tutti gli aspetti appena elencati: a volte si procedeva a fatica e con tanta demoralizzazione soprattutto dei genitori, altre volte si è gioito per aver imboccato la strada giusta, a volte si viaggiava a velocità diverse… spesso, devo ammettere, Paolo faceva dei balzi in avanti più consistenti di quelli dei suoi genitori; ma ciò che ha funzionato in questa storia è che siamo sempre stati in cammino. Nonostante la fatica, lo scoraggiamento, le difficoltà abbiamo continuato, ostinatamente come insegna Paolo, a perseguire tutti insieme la strada della consapevolezza ed accettazione: Paolo e la sua famiglia hanno sempre partecipato agli incontri e tuttora vengono; le insegnanti sono sempre state preziose nella loro collaborazione e questo lavoro all’unisono ci ha permesso di arrivare a sentir dire a Paolo “ho capito che non è bello se comando sempre io, dagli altri posso imparare e la mia rabbia posso comandarla io!”